“C’è una femmina!”, urla in un mix tra stupore e curiosità un bambino della scuola calcio. Il resto della squadra si gira e la vede: è Katia Coppola, futura giocatrice della Nazionale di calcio a 11 prima e ora capitano del neo-promosso Audace Verona nel calcio a 5. Siamo nel 1996 e una ragazza con gli scarpini fa ancora notizia. Ora, fortunatamente, la notizia è lei: l’ex calciatrice follemente innamorata del futsal e prossima al primo campionato in Serie A. “Dopo due figli maschi, sono arrivata io. Mi mamma ha pensato: che bello, ecco la ballerina. Non è andata proprio così” sorride.

Nel calcio è una predestinata: primo gol col Como a 15 anni, capocannoniere in A2 e poi bomber di razza in A, tanto da meritare la maglia Azzurra. Anche in Nazionale piovono gol importanti, come quello che porta al passaggio in semifinale nell’Europeo di Cervia e vale l’accesso al Mondiale disputato in Giappone. Nel suo cammino anche Lugano, Inter e Milan, poi l’ultima stagione al Chievo in seguito alla quale decide di fermarsi. Ma se le porte del calcio si chiudono, ecco che le si spalancano davanti quelle di un mondo ancora tutto da scoprire: il futsal.

“Non sapevo nulla di tempo effettivo, portiere di movimento e campi ridotti, ma ho provato – prosegue -. All’inizio mi sembrava tutto facile, avevo la porta a pochi metri e sono riuscita a segnare 60 reti. L’anno successivo, con le avversarie che mi prendevano le misure, mister Donisi ha avuto la pazienza di insegnarmi anche a difendere. Ho fatto più fatica, ma ero felice: per la prima volta mi sentivo una vera giocatrice sul 40×20”. Nessuna nostalgia del passato sui campi in erba, ora Katia non tornerebbe indietro: “Ho sempre il pallone tra i piedi, non ci sono tempi morti e posso sfruttare le mie qualità nell’uno contro uno”.

Verona come città dell’amore per il futsal e di quello che la unisce al presidente dell’Audace Alessandro Betteghella. “Ricoprire il doppio ruolo di fidanzata e giocatrice non è facile, ma siamo stati bravi a trovare un equilibrio. Per le telefonate relative alla squadra, poi, basta stare in stanze separate”, ride il capitano simbolo della storica promozione in A.

“La vittoria col Padova all’ultima giornata è stata una delle emozioni più grandi. È stata così dura che da quel giorno scarpini e borsone sono ancora lì dove li ho lasciati, ma ce l’abbiamo fatta”, racconta con un sospiro di sollievo la 30 veronese. “Perché questo numero? È il giorno di nascita di mia nonna, scomparsa tre anni fa, ed è la somma di quelli di mio padre (6 aprile) e mia madre (24 giugno), un modo per sentirli tutti con me”.

Soprattutto ora che il gioco si farà durissimo. “La massima serie sarà un palcoscenico fantastico. Diremo la nostra, sia per la qualità degli innesti che per la solidità del gruppo base, che è stata la nostra arma vincente. Mi aspetto qualcosa di più rispetto ad una salvezza” conclude con l’entusiasmo di chi ha fame di arrivare in alto.

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